La parola “addiction” significa “addizione”, cioè qualcosa di “aggiunto”. E’ il termine anglofono, internazionalmente utilizzato, per chiamare le “dipendenze”.
L’origine del termine risiede nel meccanismo col quale operano le dipendenze. I nostri equilibri psico-biologici sono mediati da reti neurali che utilizzano dei neurotrasmettitori per comunicare.
Le droghe, affinché vengano assorbite dall’organismo, devono essere compatibili con la struttura biologica che li assume. Cioè è necessario che il principio attivo di una droga (sia essa una medicina che una sostanza illegale che una sostanza legale) deve trovare spazio nell’organismo per agire.
Le sostanze psicoattive sono estremamente simili ai nostri neurotrasmettitori, altrimenti non potrebbero essere “psico-attive”. Cioè molte delle sostanze che chiamiamo droghe (ma che includono i farmaci e molte sostanze legali come la caffeina del caffè, la teina del Tè, la nicotina delle sigarette, l’alcol degli alcolici e via discorrendo…) si vanno ad aggiungere alle sostanze che già vengono autoprodotte dal nostro organismo. In tal modo ne alterano il funzionamento. Come chiavi false le droghe si inseriscono nelle porte neurali (i recettori) e vengono scambiate per chiavi originali.
Nel momento in cui il funzionamento regolare di certi apparati neurali è garantito dalla presenza delle sostanze assunte (le droghe), si dice che il soggetto è “addicted”, letteralmente significa “addizionato”.
In altre parole, il funzionamento psico-biologico è divenuto dipendente da una sostanza “aggiunta” dall’esterno. Ovviamente l’equilibrio raggiunto in questa maniera determina alcune alterazioni importanti a livello psico-sociale poiché gli effetti delle chiavi false non sono gli stessi delle chiavi originali.
In italiano si usa il termine dipendenza perché si focalizza l’attenzione sul fatto per cui il “dipendente” non può fare a meno della sostanza (la droga).
In realtà la dipendenza avviene in un momento successivo, cioè quando la sostanza è stata assunta per un tempo sufficientemente lungo da impedire la produzione della “chiave originale” da parte del cervello.
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